Sono appena uscito dalla sauna – una delle 3 milioni presenti qui in Finlandia – e mi dirigo, rigenerato, in cucina. Mia moglie è lì che fa i biscotti e, senza staccare gli occhi dalle sue preziose creature, mi pone la più insidiosa delle domande: «cosa facciamo questo weekend?» Voglio subito dire che non sono uno di quelli a cui non piace uscire o fare le cose, ma il fatto è che quella domanda, fatta in questo momento, mi allontana inesorabilmente da quelli che sarebbero i miei programmi per questo fine settimana, programmi tutti riassumibili in una sola, bellissima e incredibile parola finlandese, Kalsarikännit: “Stare comodi in casa, in mutande, con un buon bicchiere in mano e senza la minima voglia di uscire”. Poesia!
Cerco di prendere tempo, impalato al rubinetto dell’acqua che continua a riempire un bicchiere già pieno, e mia moglie incalza: «Allora?»
Sarà la sauna che ammorbidisce¹, sarà che sono ben consapevole che la guerra è già persa, ma pur di evitare inutili spargimenti di sangue, capitolo saggiamente e replico: «cosa vuoi fare, amore?»
La domanda ci porta diritti su una nave per Stoccolma – io, moglie e bambina – in visita alla cara Mimmi, simpatica amica svedese residente nella bella capitale scandinava. Ah, la Svezia! Terra di Ikea e di reali, dell’immenso Bergman e della bella Bergman, di Ibrahimovic e di Edberg, della grande Greta Garbo e della piccola Greta Thunberg!
“In un flûte di Champagne si formano un milione di bollicine”, conclude lo studio condotto da Gérard Liger-Belair, capo del dipartimento di spettrometria molecolare e atmosferica dell’Università di Reims, città perla della Champagne.
Il gigante che ci accompagna sull’altra sponda del Baltico è la Grace della Viking Line²: una mastodontica nave crociera da 218 metri di lunghezza su ben 13 strati (8 piani solo di cabine e aree per la clientela), costruita proprio a Turku, la nostra città, ricco e noto centro di cantieri navali. Il viaggio è lungo ma la cosa non ci preoccupa: le camere sono confortevoli e, in fatto di intrattenimento, non manca davvero nulla (casinò, pianobar, aree bimbi, un ottimo ristorante, varie birrerie e caffé). Nota di colore: le navi di questa rotta sono storicamente conosciute dagli italiani con l’appellativo simpatico ed evocativo di “Trombonave”. A tanti connazionali all’estero, lo sappiamo, piace millantare, e sappiamo pure che di ritorno da certe destinazioni con forte densità di belle ragazze, è difficile resistere alla tentazione di narrarsi “Casanova” agli amici del paesello. “Trombonave” starebbe ad indicare, infatti, proprio la facilità con la quale è possibile incappare in avventure amorose durante la traversata. Magari, non voglio escluderlo del tutto, qualcosa di vero ci sarà pure, ma la mia esperienza di pluriviaggiatore sulla linea non testimonia altro che i tanti ubriachi che, approfittando del duty free del negozio di alcolici, fanno scorta e ingurgitano da far impallidire l’Orson Welles sbronzo della pubblicità dello Champagne.
Si sappia, ci sono anche in questo inferno e sono pronto a dare battaglia: mia moglie vuole bere un bicchiere nella pace della nostra camera, prima di uscire a mangiare, ed è l’ora di sporcarsi le mani!
Saluto la famigliola che prende possesso degli spazi, indosso il giubbotto di salvataggio (che non si sa mai!) e mi faccio inghiottire dai lunghi “corridoi-intestino” della nave. In pochi minuti sono digerito ed espulso davanti allo spaccio di alcol. Mi muovo a fatica tra la ressa: all’ingresso ci sono le birre e la metà dei nordici è lì. L’altra metà è poco più avanti, ai liquori. Io li frego tutti in eleganza e mi godo, nella pace assoluta, il reparto “belle bolle”. Sono carico e nella testa mi suona Champagne di Joey Starr. Nel deserto del reparto, insieme a me, c’è solo un altro signore: vestito di nero, distinto, francese ma con un piede ben saldo a Londra. Mi guarda dallo scaffale… È monsieur Lanson Black Label Champagne Brut.
Elegantissimo nella sua etichetta “frac”, Lanson attacca bottone, comincia a parlarmi della sua storia e mi dice un sacco di cose (evidentemente, tra gli avventori della nave, non ce ne sono molti disposti ad ascoltarlo!). Mi dice che la sua è tra le maison più antiche nella Champagne e che fu fondata a Reims nel 1760 da François Delamotte. Mi dice che non sa proprio come ci sia finito sulla Trombonave e che a lui non piace vivere circondato da gente che beve male. Mi dice che la croce che porta al collo è la famosa “Lanson Cross”, la Croce di Malta consegnata al figlio del fondatore, e mi dice pure che la storia della casa è fatalmente legata alla Gran Bretagna da quando Victor-Marie Lanson, altro personaggio chiave, riceverà, dalla regina Vittoria in persona, il titolo di “Purveyor of Champagne to Her Majesty” (“ambasciatore della Champagne presso Sua Maestà”). «La Lanson rifornisce la Corte d’Inghilterra, ragazzo mio! E siamo l’unico Champagne a Wimbledon! Ti piace il tennis, figliolo? Portami via da qui!»
Proprio mentre sto dichiarando tutto il mio amore per il tennis e Champagne, mi accorgo di una piccola folla di curiosi, impietriti a guardare ‘sto scemo che parla a uno scaffale (e menomale che erano loro gli ubriachi!): realizzo che è il momento di tagliare la corda. Agguanto il Lanson, guardo fuori dal piccolo oblò e ci vedo un mare del tutto simile a quello che divide Francia e Inghilterra: il motivo mi sembra più che valido per spendere i 40€ del riscatto e liberare la bottiglia. Mi muovo a fatica tra le orde di vichinghi che si contendono, a suon di spade, le ultime lattine di birra e guadagno, miracolosamente indenne, la cassa, pago e sono fuori. Respiro.
Inghiottito nuovamente dai corridoi, chiedo di essere espulso, se possibile, davanti alla camera. Mi accontentano. Toc, toc… Entro e mostro la bottiglia a mia moglie che ne è entusiasta perché ne apprezza l’estetica (l’abito fa il monaco? Chiedetelo a quel frate di Dom Pérignon!). Siamo tutti soddisfatti, quindi, e pare proprio che tutto fili liscio quando, ahimè, incappo nel più prevedibile degli imprevisti: In camera non c’è frigo! Momento di disperazione autentica e parte il montaggio frenetico: primo piano strettissimo sugli occhi angosciati di mia moglie, stacco sui miei quasi piangenti e stacco finale sul ponte della nave dove ci sono io, seduto su una panchina, ad aspettare al gelo che la bottiglia arrivi a temperatura. Sergio Leone, levati!
Quando la bottiglia è ormai acclimatata (e sembra passata un’eternità!), decido che è tempo di ritornare in camera ed evito d’un soffio l’assideramento… Possiamo finalmente stappare!
La cuvée del Black Label Brut prevede un importante 50% di Pinot Noir, un 35% di Chardonnay e il 15% di Pinot Meunier. Affina ben 3 anni sui lieviti ed è lasciato altri 6 mesi a riposo dopo la sboccatura. Nel bicchiere, il colore è d’oro e d’ambra… Il perlage è ipnotico, incessante. Il profumo è di primavera: fiori e brioche! Al palato è freschezza e frutta (non fanno la malolattica: la “recherche de la pureté, al centro della filosofia³). Ci sono le pesche, gli agrumi che arrivano dopo e i sentori di miele che ti riportano dritto all’infanzia quando un cucchiaino di quello era panacea di ogni male! Il finale è persistente, eterno come la storia di questa maison dal grande passato e da sempre proiettata al futuro («Va bene la tradizione, ragazzo mio, ma la ricerca della modernità è essenziale!», mi rimprovera da youtube, Hervé Dantan, faccia da attore e chef de cave). Parigi e Londra, appunto! Grande Champagne e sono emozionato! Davvero un vino perfetto.
Alla fine sto così bene, appagato e pronto per la serata che, per un attimo, mi abbandono a pensieri surreali e deliranti: sono naufrago e “m’è dolce”! Novello Leonardo di Caprio, circondato dal nero del mare notturno, mi salvo giusto perché la mia Rose è indaffarata con la bambina. Resto aggrappato a quel che rimane di una cassa di Champagne e lascio che sia la corrente a decidere. Le stelle cadenti illuminano la notte e sono bollicine al contrario (è il punto di vista capovolto di chi ne ha bevuto troppo!). Delfini di sughero si stappano rapidi dagli abissi! In preda a nessuna ansia, mi godo il passaggio offerto dalle onde, quel secondo di solitudine e mi congedo dal delirio con quelle che furono le ultime parole di Aleksis Kivi, grande scrittore finlandese, giusto un attimo prima di morire: “Sono vivo!”
Ciao a tutti!
Qualche nota: