Siamo a cena al Bassi, un bel ristorante che deve il nome a quel Carlo Bassi, grande architetto italiano, che ha disegnato vari e importanti palazzi nel centro della città in cui vivo. Il posto lo ha scelto mia moglie (si festeggia il suo compleanno) e devo ammettere che è davvero carino: locale giovane e “trendy”, bella atmosfera, un po’ sofisticato ma allo stesso tempo informale. Uno di quei locali con “bella gente” e calici che ruotano, spesso a sproposito, sotto i nasi, spesso perplessi, alla ricerca di chissà quale mistero e illuminazione (tutti annusano tutto e, a tratti, sembra di essere in una puntata di airport security circondati da cani poliziotto!). A parte tutto questo (bella gente, calici vorticanti, locale trendy…), è luogo piacevole e rilassato. In mezzo a questo fighettume, imborghesito, ci sono anche io e camicia/golfino d’ordinanza nei quali mi ha infilato mia moglie “per non farmi sfigurare” (subisco in silenzio perché in fondo ha ragione lei: spesso sono impresentabile). Bene dire che i finlandesi sono cambiati rispetto a quelli che ho conosciuto io, da turista, 10 anni fa. Imborghesiti anche loro, di sicuro. Diciamo che l’edonismo è ormai arrivato anche da queste parti e, dopo aver capito che la storia dei 6 mesi di buio è una bufala, pare convinto a rimanerci. Oggi i finlandesi, nell’aspetto, assomigliano sempre di più agli svedesi che assomigliano sempre più ai milanesi. I metallari e i dark che un tempo popolavano le strade, si sono rintanati definitivamente nelle foreste in cui sono soliti registrare i video musicali. Adesso, nei locali, si incrociano solo precisini e biondi.
Precisino e biondo è anche il cameriere che ci chiede se siamo pronti ad ordinare. Ovviamene, lo siamo. Da mangiare prendiamo un bel pezzo di paradiso: un piattone scenografico con aragosta, gamberi, vongole, ostriche e altri frutti di mare. Piatto splendido il cui ingrediente principale è il mare tutto. Scelgo io da bere e lo faccio in un attimo, senza la minima esitazione e con una pronuncia francese, esercitata a lungo in settimana, quasi simile a quella d’oltralpe: «Bauget-Jouette Blanc de Blancs Millésimé Champagne 2010». Non sfiguro e il cameriere sembra compiaciuto. In realtà, se sono così pronto è perché, qualche giorno prima, carta dei vini alla mano, mi sono avvalso della consulenza degli spalluti esperti del gruppo Facebook Di vino e d’altre storie: veri e propri “energumeni del vino” che, commento dopo commento, hanno saputo indirizzarmi saggiamente. Questo gruppo, insieme a quello dei Sommelier, è la mia fonte di salvezza quando mi trovo nei “guai” in fatto di vino. Li ringrazio davvero!
La Bauget-Jouette è una piccola maison di Épernay che fa dell’artigianalità il suo fulcro e che produce, all’anno, non più di 130.000 bottiglie ricolme di passione. Tutto è manuale (remuage e degorgement), tutto sembra lontano dalla “industria” e nella filosofia, nell’approccio della maison, non c’è nessun’altra velleità se non produrre un buon vino. Dimenticatevi tutto l’immaginario patinato legato allo Champagne: niente modelle e campi da golf! Lo spot della maison, il meno “Champagne” che abbia visto, ha il merito di restituire un barlume di verità in un ambiente che spesso fatica a cogliere il punto centrale: si tratta di vino! Via le sovrastrutture, quindi, gli stereotipi e gli status symbol che lo guastano più dell’errata temperatura di servizio: nello spot citato, di circa un minuto, si vedono ste quattro facce felici da contadino, dal vendangeur allo chef de cave, immerse nelle varie fasi della produzione, a muovere semplicemente le mani e lavorare. Tutto qua ed è tutto quello che ci interessa sapere. Poesia!
https://www.youtube.com/watch?v=mB-KJ1HHjkU
Ma passiamo al bicchiere! Il Blanc de Blancs della Bauget-Jouette è un vino innamorato del pesce che ci servono e lo si capisce da come stanno insieme: sembrano una giovane coppia al ballo! Lei, la bollicina, è adorabile nel suo elegante vestito giallo dorato e il perlage che l’avvolge, elegante foulard dalla trama fitta, è perfetto per la serata (il crostaceo, un po’ eccentrico, è invece in rosso). Il profumo nel calice è maturo, speziato, pizzica di zenzero ed è intenso di frutta bianca. Al palato è morbido, cremoso, dalla bella acidità controllata, lungo… Una goduria con l’aragosta e sono ben contento di sporcarmi golfino e camicia! Sono così felice mentre lo bevo, così su di giri, da essere quasi tentato, per un momento, di inserire per la prima volta, in un modo o nell’altro, la parola “minerale” in una mia descrizione. Tengo a bada la tentazione e, rendendomi conto che mi mancano troppi “centimetri di libri sotto i piedi”, mi astengo dal farlo (interessante come il concetto di mineralità agiti un vivo dibattito tra gli addetti ai lavori: “Cos’è la mineralità nel vino? Come la si percepisce? È un sapore? Bisogna leccare le pietre per farne esperienza?”). La mineralità, oggetto misterioso e spesso abusato, è forse un po’ come la felicità, in fondo: ne hai esperienza, l’avverti, la vivi quell’attimo, ma fai fatica a incastrarla in una definizione univoca. La felicità sta alla vita come la mineralità allo Champagne!
Una bottiglia di Champagne, bevuta durante i pasti, rimane in circolo 5 ore!¹
Chi non sembra avere dubbi sulla definizione di felicità è l’ONU col suo tradizionale report sui “paesi più felici al mondo”. La Finlandia, come l’anno scorso, guida la classifica. Ma come mai? Cosa avranno da esser felici, questi finlandesi? Perché dovrebbero essere più felici degli altri? In realtà, se si vuole dare un senso a questa roba, bisogna prima di tutto mettere qualche puntino sulla a (così -> ä). “Felice” è la traduzione da titolista, “giornalistica”, spettacolarizzata, di “soddisfatto e fiducioso”: il report dell’ONU, infatti, anche se si chiama World Happiness Report² (sono loro a dare il nome spettacolare!), indaga, in realtà, il grado di fiducia e soddisfazione dei vari popoli del pianeta. Si guarda alla prosperità economica, aspettativa di vita e welfare. Si tiene conto di libertà individuale e diritti civili. Un occhio particolare, quest’anno, lo si è dato, poi, alla correlazione tra felicità individuale e comunità, alla partecipazione sociale, alla lotta alle diseguaglianze. Tutte queste cose, insieme, renderebbero un popolo “felice” (non si parla, quindi, di individui). Visto da qui, alla luce di queste considerazioni, forse, il primato finlandese può avere senso (d’altra parte, nessuno negava agli altri popoli di dirsi fiduciosi e soddisfatti). I finlandesi sembrano non aver pudori a dirsi “felici” e ne hanno comunque buoni motivi: la qualità della vita rimane alta; il freddo è dominato; la bellezza della natura è inconfutabile; le città sono comode e a misura di bambini e famiglie; il senso di comunità è forte; il welfare, seppur minato, regge (c’è un bellissimo libro di Kari Hotakainen, La legge di natura, sulle ferite inflitte all’orgoglio di questo popolo dai tagli allo stato sociale dovuti alla crisi economica). Il benessere dei finlandesi, la loro “felicità”, si fonderebbe su qualcosa di concreto, dunque, empirico e riscontrabile camminando semplicemente nelle strade. On lottovoitto syntyä Suomeen, “è un terno al lotto nascere in Finlandia”, canta Kari Tapio!
Alle ragioni appena citate, inoltre, a mio avviso se ne può aggiungere forse un’altra, più antica. Questa positività, a ben vedere, affonda, paradossalmente, le radici nella storia drammatica di questa terra. Questi le hanno passate davvero tutte: per secoli sono prima il “giardino” della Svezia, poi della Russia; poi c’è stata la guerra civile subito dopo l’indipendenza; la “guerra d’inverno”, le guerre mondiali con annessa guerra di Lapponia contro i nazisti… Crisi economiche durissime e cicliche, una delle quali recentissima e fortunatamente alle spalle… Un popolo da sempre in lotta con l’asprezza del clima! I finlandesi hanno sempre dovuto combattere contro tutto e tutti e ne sono sempre usciti, in qualche modo, in piedi, rafforzati, popolo. La fiducia dei finlandesi consisterebbe, quindi, nella consapevolezza di poter sempre attingere a un surplus di forza interiore che li aiuta a superare le avversità; la certezza di potersi avvalere, quando serve, di quella salvifica grande réserve se l’annata non è proprio favorevole. Una felicità che è orgoglio. C’è una bella parola che descrive questa caparbietà, questa resilienza, questa ostinazione nel non darsi mai per vinti, questo coraggio: la parola è SISU. Vi segnalo, a tal proposito, il libro di Katja Pantzar, Sisu – la via finlandese al coraggio, al benessere e alla felicità, che ne declina le implicazioni nella vita di tutti i giorni. I finlandesi ne escono come un popolo coraggioso, ostinato, che difficilmente si lascia andare alla commiserazione, al vittimismo, al pianto. “Piuttosto si suicida!”, direbbe Paasilinna. In realtà, anche sul suicidio, battuta a parte, bisognerebbe sfatarli alcuni miti (il suicidio è la carta più giocata dai perplessi quando si parla di “felicità” a queste latitudini). La verità è che la Finlandia, stando ai dati della Organizzazione Mondiale della Sanità³ (quali se no?), è ben lontana dall’essere il paese con più alto tasso di suicidio, cosa che si sente spesso dire in giro. Può sorprende scoprire che il tasso percentuele dei suicidi sia più alto in tanti altri e insospettabili paesi tra cui – ne cito solo alcuni – Russia, Belgio, Croazia, Austria, Polonia, Svizzera e quella splendida Francia dello Champagne.
I finlandesi che mi sono intorno in questo momento al ristorante, dall’altro lato del mio sorriso, sembrano davvero leggeri e lontani da qualsiasi pensiero di suicidio. Sarà che lo Champagne fa da filtro instagram alla vita, ma a vederli stasera sembrano addirittura davvero felici, gaudenti! Forse un po’ troppo precisini e biondi per i miei gusti e per come ero abituato a conoscereli io, ma niente di insopportabile.
Precisino e biondo è anche il cameriere che a fine serata mi porta il conto per il gusto di ricordarmi quanto effimera sia, ‘sta benedetta felicità… Leggo il foglietto e se ne vola via!
La ritrovo, però, più densa di prima, sulla via di casa, lungo il nostro caro e quotidiano fiume, nella passeggiata tranquilla e necessaria accanto a quello scorrere lento, rassicurante, “socialdemocratico” perché pare ti aspetti senza forzare l’andatura. Accanto a me c’è una donna splendida che compie gli anni: per un attimo lascio che mi preceda di qualche metro per includerla nel paesaggio e, in questo preciso momento, provo qualcosa che va ben oltre il sentimento passeggero, destinato a svanire nei piatti vuoti, che c’era prima tra crostaceo e calice di Champagne. Quello che sento adesso assomiglia molto di più a quella consapevolezza finlandese appena descritta, a quella fiducia cieca nel fatto che, per quanto lungo e difficile, se affrontato insieme e con coraggio, ogni inverno è destinato a passare. E sono felice! (giusto un attimo)
Ciao a tutti!
Qualche nota:
- Alcotest di altroconsumo.it
- The World Happiness Report 2019
- A pagina 32 del report (42 del PDF), i dati della WHO sul suicidio