“Quando vinci, meriti champagne; quando perdi, ne hai bisogno”, questa è la frase attribuita sia a Napoleone che a Churchill – entrambi grandi esperti del bel vino francese – che mi viene in mente uscendo dal negozio Alko del centro commerciale Wiklund, mentre metto piede nella piazza centrale, quella che è per tutti semplicemente Kauppatori: sono davanti al Sokos Hotel, il maestoso e cupo albergo che domina lo spazio, e l’immaginazione vola al frastuono delle ruspe, quasi sempre ignoranti, che per farvi spazio demolivano nel 1976 l’Hamburger Börs, il bel palazzo in stile art neuveau che sorgeva proprio in quel punto. È questo l’episodio, l’ultimo di una lunga serie, che ha reso evidente a tutti la diagnosi, che ha svelato la patologia di cui soffriva questo posto già da qualche anno e che è passata alla storia col nome evocativo di Turun tauti, la malattia di Turku, la più grande sconfitta di questa città.
Con Turun tauti si intende il fenomeno che ha interessato l’urbanistica e l’architettura della città, prevalentemente negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, il cui concetto è riassumibile nell’abbattimento di palazzi antichi, di sicuro interesse storico, anche in salute e senza problemi strutturali, allo scopo di fare posto al nuovo, a strutture moderne. L’espressione ha chiaramente accezione negativa e rimanda subito alla speculazione, al malaffare, alla mancanza di cultura o di senso estetico.
Turku ne è l’emblema, paradigma, con il più alto numero di abbattimenti, ma il virus, tristamente noto anche altrove in Finlandia, ha infettato città come Tampere, Oulu e la stessa capitale, Helsinki: ricordiamo il caso clamoroso di Norrménin Talo, splendido esempio di architettura neorinascimentale, abbattuto nel 1960 per fare spazio allo Stora Enson Pääkonttori, il palazzone di marmo bianco progettato da Alvar Aalto e che, ancora oggi, suscita scalpore non certo perché brutto, ma perché fuori contesto e in disarmonia con il resto. Jouko Aaltonen, il regista del documentario Taistelu Turusta, battaglia per la città1, dice appunto che Turun tauti è in realtà Suomen tauti, una malattia finlandese.
Turku è una bella città, sia chiaro, e il tratto di fiume che dalla Tuomiokirkko, l’imponente chiesa luterana, porta a Turunlinna, il castello che da oltre 700 anni accoglie chi arriva dal mare, è davvero piacevole. Bello anche il quartiere di Portsa, dove le case sono ancora in legno, e splendide sono le isole. Va detto che il comune di Turku ha dichiarato debellata la malattia (anche se gli studiosi dubitano della cosa ed invitano a non abbassare la guardia) ed effettivamente, da quegli anni bui in avanti, sembra davvero che si sia imboccata la strada buona: l’opera di valorizzazione della città ha prodotto sicuramente i suoi risultati e la designazione, nel 2011, della città quale “capitale europea della cultura” ne è la prova e il coronamento. Oggi Turku è meta turistica e cittadina vivace: ricca di eventi e con una degna proposta culturale, è sicuramente un posto in cui vale la pena vivere. In molti suoi scorci, la bellezza sembra davvero un’esperienza possibile… Cosa che diventa più difficile nella parte di centro in cui mi trovo adesso, circondato come sono da un’accozzaglia di palazzi di età, forme e materiali diversi. Qui i segni della malattia sono evidenti e, soprattutto a primo impatto (immagino il turista che vi ci capiti per la prima volta), non si può non rimanere perplessi e pervasi da un senso di straniamento: questa incredibile incoerenza, questa contaminazione scriteriata, può dare le vertigini. Davvero dura trovare una logica in questa totale mancanza omogeneità, di rigore. Sembra quasi che gli edifici siano stati buttati lì a caso, che non sia mai esistito uno straccio di pianificazione urbana e che ogni costruttore, colpevolmente lasciato libero di farlo, si sia guardato bene dal cercare una benché minima armonia. Cubi grigi (gli stessi che ci siamo abituati a vedere anche in Italia, con la differenza che lì sono nelle periferie e sono miseri, mentre qui a Turku sono in centro e dotati di ogni comfort), “casermoni” squadrati e anonimi che come metastasi infette sono spuntate tra i bellissimi palazzi neoclassici e art neuveau, rendendo davvero difficile la comprensione e la digestione di un tale paesaggio urbano. Ma la cosa che può sembrare assurda da dire a questo punto, e che invece voglio testimoniare senza timori, è che dopo un po’ ti ci abitui e quel sentimento di disagio svanisce. Il difetto ti intriga. Passeggiare in questo disordine architettonico, in questa miscellanea priva di senso, diventa interessante perché ci puoi capire tanto del modo di essere, della cultura di questa città e dei suoi abitanti. Ne senti il sapore, in qualche modo unico… Dopo un po’, in questo continuo sali e scendi tra orrore e bello, tra angosciante e naif, cominci a scorgerci un suono che assomiglia al jazz, a una jam session, forse sfuggita di mano, che però ipnotizza. Non lo scopro io quanto possa essere sottile la linea che divide orrido e sublime! I diversi stili, materiali e forme, compongono una strana cuvée che magari non convince… ma che ha qualcosa che non avevi mai assaggiato prima; e proprio come con tutte le cose “diverse”, cominci, se non ad apprezzarle, quantomeno a comprenderle solo se ne conosci l’origine, la storia.
Dopo la seconda guerra mondiale, il boom demografico che da allora ha portato la popolazione alle circa 200.000 unità di oggi, ha reso necessaria la costruzione di nuovi palazzi: ovunque sorgevano nuovi condomini e le piccole casette di legno venivano sostituite da strutture più moderne e capienti. L’intera città divenne un cantiere a cielo aperto, in quella che fu una vera e propria corsa alla costruzione, e le imprese edili facevano a gara ad aggiudicarsi appalti e permessi. È questo il contesto in cui prese forma questo radicale cambiamento nella estetica della città. Bene dirlo subito, il tutto non è certo avvenuto in maniera lecita, pulita. Può suonare strana la parola “corruzione” a queste latitudini, ma è proprio quello che è accaduto.
Rauno Lahtinen – storico, scrittore e docente di storia dell’Università di Turku, che alla malattia di questa città ha dedicato ben 5 volumi dal titolo Turun puretut talot2 (Le case abbattute di Turku) – non ha dubbi nel dire che, negli anni ’60 e ’70, l’edilizia era completamente nelle mani della massoneria e che massoni erano pure gli architetti pubblici che si occupavano della pianificazione urbanistica: “massone era l’architetto del piano urbanistico Olavi Laisaari, massone era il suo successore Pekka Sivula e così Risto Tilus”. Tutti sullo stesso piano, tutti complici nello scrivere quella che per lo studioso rimane “una delle pagine più buie della vita pubblica cittadina”. Anche Stockmann, la società finlandese famosa per la catena di centri commerciali, ha la sua bella fetta di responsabilità nel disastro che ha colpito la città: “minacciando il ritiro del progetto di apertura a Turku, esercitò una tale pressione che costrinse l’amministrazione a concedere l’autorizzazione ad abbattere Julinin Tontti, una delle storiche case cittadine nella zona di Kauppatori.”
Hannu Tapani Klami, compianto docente di giurisprudenza e autore di Turun tauti – kansanvallan kriisi suomalaisessa ympäristöpolitiikassa (La malattia di Turku: crisi democratica nella politica ambientale finlandese), parlava chiaramente di corruzione e malaffare, facendo riferimento, tra le tante, a una sentenza del 1984 con la quale la Corte d’Appello di Turku aveva condannato i funzionari di Maistraatti, l’ufficio registro, per aver intascato tangenti in cambio di permessi di demolizione. Secondo il giurista, il personaggio chiave di questa vicenda era Armas Puolimatka, il magnate della edilizia cittadina che al tempo aveva finanziato le campagne elettorali di diversi partiti e versato tangenti a vari personaggi pubblici in cambio di favori. Per capirsi, Armas Puolimatka è un po’ l’omologo finlandese di Edoardo Nottola, il costruttore edile senza scrupoli che nel film di Francesco Rosi – siamo negli stessi anni ma nella mia Napoli – riesce a mettere, complice la malapolitica e la corruzione, le mani sulla città.
Quello che emerge dalla analisi dei fatti di quel periodo, è un sistema complesso, fondato sull’intreccio di massoneria, politica e poteri economici: il giornalista Seppo Mölsä, nel descriverlo, non si fa certo scrupoli a usare la parola “mafia”.
Come questo sia potuto accadere in una delle più importanti città della Finlandia, come mai la popolazione non sia insorta massicciamente per fermare questo stillicidio di case storiche, è cosa che a primo acchito può sembrare inspiegabile, ma che forse trova risposta proprio nella cultura, nella società e nella storia stessa dei finlandesi in generale e dei Turkulaiset in particolare. Se la malattia ha attecchito, è perché ha trovato evidentemente condizioni favorevoli, un humus culturale che ha permesso al malaffare di insinuarsi. Banalmente, se in finlandesi non sono insorti, è perché per molti anni non c’hanno visto granché di male. Personaggi come Puolimatka hanno potuto operare, più o meno indisturbati, perché a pochi ha dato veramente fastidio quello che stava accadendo: i più l’hanno presa come una possibile e normale “ristrutturazione”. E le cause di questo atteggiamento sono da ricercare probabilmente nell’idea stessa di architettura, di arte e più in generale della vita, che si è venuta formando da queste parti. Questa società è stata permeata da secoli di quel severo Luteranesimo che si fonda proprio sulla negazione dell’operato umano quale strumento per il raggiungimento della salvezza: solo la fede salva e la mano dell’uomo è davvero ininfluente. L’eternità non la raggiungi attraverso le opere, e nelle opere umane non c’è eternità perchè l’uomo è impermeabile al divino: peccatore sempre, può sperare solo nella Misericordia Divina. Questo “scetticismo” verso l’azione umana, si è riflesso ovviamente su tutti gli aspetti della società, nelle arti figurative (una pittura semplice, didascalica, che mostri immediatamente i racconti biblici, senza sovrastrutture e intellettualismi) e nell’architettura3, che in Finlandia, ai tempi dello scempio, aveva già imboccato da qualche decennio la strada del funzionalismo: al centro del progetto c’è la “funzione” e tutto è efficacia, pragmatismo che si traduce in una concezione di “bello” quale sinonimo di “funzionale”. Un edificio è bello se rispecchia anche nell’estetica lo scopo per il quale è stato pensato. Alvar Aalto lo diceva: “la bellezza è corrispondenza di forme e funzione”. In un contesto del genere, dunque, non stupisce che se cambia la funzione, si può cambiare il palazzo. Un edificio che era stato pensato per una certa finalità, destinato ad una determinata utilità, a un tale scopo, non può rimanere valido se lo scopo, la finalità e l’utilità cambiano. Ecco quindi spiegata la mancanza di scandalo.
Se queste considerazioni generali, le contestualizziamo a una città come Turku, che appena il secolo prima era stata teatro di uno degli eventi più drammatici nella storia della Finlandia, forse ci spieghiamo perché è proprio qui, e non altrove, che la malattia ha fatto più danni. Il fatto storico di cui parlo è il grande incendio del 1827, quello che ha segnato per sempre il destino di questo posto, cambiando da allora gli equilibri geopolitici all’interno del Paese. Cosa c’entri il grande incendio con la malattia di Turku, è facile da capire se si analizza la portata dei danni: in una sola notte, siamo tra il 4 e il 5 settembre, quasi l’intera città venne divorata dalle fiamme (si parla del 75%), con oltre 2500 edifici distrutti e 11.000 sfollati. In quelle 24 ore, la scena economica cittadina fu praticamente azzerata (prima dell’incendio, Turku era un fiorentissimo porto commerciale sul Baltico: arrivava perfino il caffè dal Sud America) e anche la vita culturale subì lo stesso destino: oltre 40.000 libri della biblioteca rimasero distrutti e, proprio a causa dell’incendio, l’università fu trasferita ad Helsinki. Mike Pohjola, autore del romanzo storico dal titolo 1827, non ha dubbi nel dire che “senza quell’incendio, Turku sarebbe oggi la New York finlandese e Helsinki niente più che una Washington, un puro centro amministrativo”: a Turku c’era un’influente borghesia e una classe intellettuale molto attiva, cose che ad Helsinki, al tempo, mancavano del tutto. Le fortune di una città nacquero dalle ceneri di un’altra, dalle sventure di quella Turku che, da quel momento in avanti, rimase per sempre città di provincia e lontana dagli antichi splendori: le fiamme ridussero in fumo i suoi 6 secoli di storia, divorandone le case e il ruolo. La città più vecchia della Finlandia, la medioevale fondata agli inizi del XIII secolo, vide strapparsi dall’animo l’idea stessa di antichità e, almeno fino agli anni ’60 e ’70 del 1900, rinunciò ad averne una: da quella data nefasta, da quel 5 settembre 1827, Turku sarà moderna per sempre, in continuo divenire, contemporanea e mai finita.
“Una nuova vita puzza sempre. La vecchia ha un odore, la nuova puzza. È una legge di natura, incisa a scalpello sulla pietra.” (Kari Hotakainen, La legge di natura. Ed. Iperborea).
Ecco che la storia assume una prospettiva diversa, quindi; ecco che diventa più facile capire dove ci si trova e perchè. I palazzi, gli edifici che sono nati dall’incendo in avanti, nei circa 130 anni che lo separano dalla malattia di Turku, probabilmente non sono mai stati sentiti dai cittadini come “antichi” e quindi inviolabili: quella mancata reazione ha motivazioni inconsce, di natura psicologica. La stessa disarmonia che può infastidire tanto, non deve aver causato, allora come adesso, eccessivi disagi ai cittadini di una città che già non esisteva più, una città che era morta cent’anni prima e che proprio nell’assemblaggio di diversi pezzi, come se a disegnarla fosse stato il Victor Frankenstein di Mary Shelley, ha ritrovato la vita; una città rassegnata ad essere legolandia, in un perpetuo montarsi e smontarsi, in cui alcuni degli edifici che erano sorti in sostituzione di quelli vecchi, sono già stati a loro volta sostituiti da altri più nuovi (si veda il palazzo di Wiklund, appena ristrutturato e diverso da quello originario). In fieri sempre, questa centro vive ormai in una sorta di maledizione, in un sortilegio che lo rende ai miei occhi simile a Dorian Gray, così eternamente giovane e vecchio solo nel quadro, nelle foto di archivio: la vecchia Turku è poco più di un ologramma proiettato dalla cima bei monumenti cittadini, e che si posa sulle strade attraversate dagli uomini… L’antichità di Turku è un’illusione ottica. Volendo continuare a giocare coi libri, si potrebbe dire e concludere che Turku ricorda tanto Il curioso caso di Benjamin Button, la novella di Francis Scott Fitzgerald in cui si racconta la storia di un uomo nato vecchio e che con il passare degli anni ringiovanisce, come se il nastro della vita scorresse al contrario. Ecco, proprio così: la malattia di Turku è genetica.
Qualche nota:
1. Il trailer di Taistelu Turusta, la battaglia per la città.
2.Il blog di Rauno Lehtinen, autore dei 5 volumi dal titolo Turun puretut talot. Ci trovate tanti articoli interessanti sull’argomento.
3. Il sito web del Museo dell’Architettura finlandese a Helsinki.