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Il commerciale

Evidentemente influenzato dalla massiccia esposizione ai grandi vini mostrati dagli appassionati nelle varie pagine specializzate su Facebook, perdo la testa per un attimo e gioco a fare il figo: «Ma non è commerciale?» chiedo a Mika Lahtinen, il commesso che mi sta passando la bottiglia che qua mi mettono a quasi 50€ e che uno dei fighi da Facebook aveva definito “coca-cola”. Lehtinen, uno dei sommelier più mediocri al mondo, mi dà una risposta che mi fa riflettere: «Enzo, non c’è una sola maison nella Champagne che non vorrebbe fare i numeri di Moët. Cosa vuol dire commerciale in un mondo, quello dello Champagne, in cui i sans année superano il 90% della produzione? E cosa vuol dire “non commerciale” in un quadro del genere? Non è forse un altro “brand” che intercetta la sua fetta di mercato? Fa tutto parte dello stesso circo… Ci sono solo vini buoni e vini cattivi, amico!» Resto in silenzio per un attimo, riguardo Lehtinen e mi viene in mente il vecchio adagio: “Un orologio fermo dà l’ora giusta due volte al giorno”. Le parole di uno dei sommelier più mediocri al mondo, hanno il potere di rimandarmi -misteri della mente- a quelle che uno dei più grandi, un certo Roberto Gardini, ebbe a dire durante una lectio magistralis in occasione di una degustazione di Pommery: “La grande maison si vede dai base; una maison è grande quando i suoi base sono godibili”.

A prendere per buone queste due frasette, quindi, si dovrebbe completamente ribaltare l’approccio che molti dimostrano di avere: non è che bisogna scappare dai base di una grande maison perché commerciali, al contrario! Sono proprio quelli a renderla grande perché di qualità ed è perciò sensato cercarli perché “garantiti”. “È il biglietto da visita della maison”. Chiaro che disponendo di risorse ed esperienza adeguata, ci si può cimentare e godere di vini più impegnativi, ma qui si sta dicendo altro: gli “entry level” possono essere vini di tutto rispetto. Poi ci sono i gusti, le preferenze, le cuvée, i dosaggi… Ma questo è un altro discorso!

Moët & Chandon, con oltre 30 milioni di bottiglie vendute all’anno, è la maison più “commerciale” della Champagne.

Rifletto ancora un po’ e riguardo la bottiglia dalla forma elegante che ho tra le mani… Le altre cose che so del Deutz² (che avevo già bevuto e apprezzato svariate volte prima che mi montassi la testa!) le devo ad Alberto Lupetti e al suo articolo dall’eloquente titolo Chi la dura la vince: il brut Classic di Deutz ce l’ha fatta!: “un vino che rappresenta l’85% della produzione di quella che è tra le 6 maison più serie della Champagne e che, secondo la guida Grandi Champagne 2018-19, è in continuo miglioramento e punta dritto all’Olimpo. Sono 4-5 anni che questo champagne migliora costantemente, ma stavolta sembra proprio abbia trovato la quadra definitiva”. Lehtinen, Gardini e Lupetti mi riportano al posto che mi compete: coda tra le gambe e umiltà.

Nel mondo dei consumatori di Champagne ci sono solo due modi di essere scarsi. Il primo modo è quello di chi è scarso e gioca a fare l’espertone. Per chi aderisce a questa tipologia, a parte qualche like alle foto, sono previste solo sonore batoste: ricercare la chicca, l’etichetta da cane da tartufo, il vino particolare da nicchia e costoso, la grande annata, è roba che richiede tempo, frutto di un percorso lungo, da persona che ha ettolitri di bolle sulle spalle e che, prima di avventurarsi nel mare nostro e sterminato della “poesia in bottiglia”, si è fatta, per anni, i suoi bei bagnetti a riva evitando inutili snobismi e mignoli alzati. A forza di annusare buoni profumi, a tanti, sotto al naso, non è rimasta che la puzza! Ci vuole grande esperienza per entrare davvero nelle mille pieghe di un grande vino, di una grande annata: fingere di saperlo fare da subito è patetico. “Dopo tre anni cosa racconti, Topolino e Paperino?!”, affonda ancora Gardini. Ci vuole tempo, dunque, e per ora ben vengano i “commerciali” come Henriot, Drappier, Lanson, Gosset, Piper Heidsieck, Canard-Duchêne, Nicolas Feuillatte, Taittinger, Laurent-Perrier… Un mondo!

Ci sono solo due modi di essere scarsi: il primo è quello di chi gioca a fare l’espertone, l’altro è il mio.

Questo approccio rilassato, “sobrio” (ossimoro quando si parla di vino!), questo volare bassi un po’ da “chi si contenta gode”, non è affatto estraneo al carattere della terra che mi ospita. Godere della semplicità, del poco, è da sempre caratteristica finlandese e la si riscontra un po’ ovunque, dalle linee essenziali del modernismo organico¹, alla pratica quotidiana del silenzio. C’è un vecchio articolo del sole24ore, del lontanissimo 2011, Fenomenologia dei finlandesi, che descriveva questo atteggiamento in una semplice ed efficace immagine: “Helsinki, la capitale senza SUV”, dove il SUV, l’ingombrante macchinone, assurgeva a simbolo pacchiano del “chicelhapiulunghismo”. Ai finlandesi pare non interessi partecipare a questo genere di competizioni. Nel frattempo, però, non bisogna nascondersi, anche qui sono cambiate un po’ di cose: tra la data dell’articolo e i giorni nostri, c’è stata una pesante crisi economica, fortunatamente alle spalle, che qualcosa ha smosso. Le crisi economiche, lo sappiamo – è cosi dappertutto – rendono tutti un po’ più stronzi: i poveri diventano populisti e i ricchi esibizionisti (soprattutto quando la crisi passa!). La ostentazione della ricchezza diventa un modo per esorcizzare la paura di un ritorno alla povertà e, nel caso dei finlandesi, di un ritorno al paese dal futuro incerto che fu la Finlandia rurale. Si acuiscono le diseguaglianze sociali e i ricchi ci tengono a farlo vedere. Senz’altro è più borghese la Finlandia di oggi rispetto a quella di 10 anni fa. C’è un bellissimo libro di Kari Hotakainen, Un pezzo d’uomo edito da Iperborea, sulle conseguenze della crisi economica sulla vita e sul modo d’essere dei finlandesi. Lo consiglio vivamente. Nonostante i cambiamenti sociali e “antropologici” appena descritti (diciamo accennati, leggete Hotakainen!), nonostante la “perdita della verginità”, nonostante la comparsa dei “nuovi finlandesi”, la misura, bene dirlo, rimane accettabile e, ad oggi, si è ancora ben entro i limiti della sopportabilità: la vita è fatta di gradi e non siamo certo ai livelli del mitico bauscia milanese! Il finlandese, per quanto “imbruttito”, non ci regalerà mai i picchi di spacconaggine e volgarità nostrani e il rischio di incappare nel cafone non è così elevato. Si può ancora dire che il profilo basso e la modestia siano la regola a queste latitudini e che la “vita bella”  sia preferita alla “bella vita”. In generale, siamo davanti ad un popolo che sa apprezzare le piccole cose e che su questo fonda la sua “felicità” (abbiamo già detto nel capitolo Happiness del Report dell’ONU che vede la Finlandia in cima alla classifica delle nazioni più felici al mondo). Un popolo, quello finlandese, con un lifestyle, un modo di interpretare la quotidianità, così peculiare, studiato e imitato altrove, da farlo diventare un brand (cosa c’è di più commerciale della felicità?). Di pochi giorni è l’iniziativa lanciata dal sito ufficiale del turismo, Visitfinland.com, dal nome singolare Rent a finn (affitta un finlandese) che sembra promettere la felicità a chi volesse aderire. In pratica, “affittando un finlandese”, per l’intrepido straniero selezionato ci sarà la possibilità, completamente a gratis (vitto e alloggio inclusi), di entrare direttamente nella “normalità” degli abitanti di questa singolare terra e sperimentarne abitudini e rituali che conducono alla serenità. Il tutto lungo un sentiero che punta alla riduzione dello stress attraverso l’esperienza semplice della natura. I finlandesi riescono ancora a vivere come si dovrebbe bere lo Champagne: senza specchiarsi troppo. Sulla pagina dell’inaziativa si può trovare il test per verificare il “livello di equilibrio nella propria vita”.  Quindi, per chi volesse vivere alla finlandese per un po’, tra foresta (i benefici di una passeggiata in foresta qua), sauna (qua i benefici della sauna), mökki (il tradizionale cottage in cui i finlandesi trascorrono le vacanze e che potete affittare qua), bacche e funghi³, c’è ora l’opportunità di provarci. Di sicuro, abbassare i ritmi, respirare, può solo fare bene! Se a tutto questo poi, aggiungo io, si riesce ad abbinare qualche bollicina buona buona, allora il gioco è davvero fatto! Vi aspettiamo in Finlandia!

Ah, già… Manca la musica! I musicisti finlandesi più “nature” (e non ancora commerciali!) che mi vengono in mente in questo momento sono i Steve’n’Seagulls! 😉

Ciao a tutti!

Qualche nota:

  1. Qualche esempio di Modernismo Organico
  2. La scheda della Deutz su maison-champagne.com
  3. Jokamiehenoikeudet… Curiosi eh?!
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